favole morali
piccole storie favole morali, piccoli composizioni, che certamente hanno una morale da condividere o meno, nelle quali è altrettanto possibile trovare una propria di morale , trarre un insegnamento o contestarne il contenuto.

Piccole storie:
Il professore ed il significato della vita
Un professore concluse la sua lezione con le parole di rito:
“Ci sono domande?”
Uno studente gli chiese:
“Professore, qual è il significato della vita?”
Qualcuno, tra i presenti che si apprestavano a uscire, rise.
Il professore guardò a lungo lo studente, chiedendo con lo sguardo se era una domanda seria.
Comprese che lo era.
“Le risponderò!” gli disse.
Estrasse il portafoglio dalla tasca dei pantaloni, ne tirò fuori uno specchietto rotondo, non più grande di una moneta.
Poi disse:
“Ero bambino durante la guerra.
Un giorno, sulla strada, vidi uno specchio andato in frantumi.
Ne conservai il frammento più grande.
Eccolo.
Cominciai a giocarci e mi lasciai incantare dalla possibilità di dirigere la luce riflessa negli angoli bui dove il sole non brillava mai:
buche profonde, crepacci, ripostigli.
Conservai il piccolo specchio.
Diventando uomo finii per capire che non era soltanto il gioco di un bambino, ma la metafora di quello che avrei potuto fare nella vita.
Anch’io sono il frammento di uno specchio che non conosco nella sua interezza.
Con quello che ho, però, posso mandare la luce, la verità, la comprensione, la conoscenza, la bontà, la tenerezza nei bui recessi del cuore degli uomini e cambiare qualcosa in qualcuno.
Forse altre persone vedranno e faranno altrettanto.
In questo per me sta il significato della vita!”
tratto dal libro “Solo il vento lo sa” di Bruno Ferrero
L’amicizia alla prova del tempo
C’era un’isola dove tutti i sentimenti hanno vissuto
Felicità, Tristezza, Conoscenza ed altri, compreso l’Amore e l’amicizia.
Un giorno fu annunciato a tutti un pericolo imminente e
tutti furono invitati a lasciare subito l’isola, così iniziarono
a preparare le barche…
Quando l’isola iniziò ad affondare, l’Amicizia, che era da
sola, decise di chiedere aiuto alle barche che passavano.
Passò la Ricchezza, e l’Amicizia gli chiese: “Ricchezza, mi
puoi prendere con te?”… ed ella rispose: “No non posso,
ho oro e gioielli con me… per te posto non ce ne'”…
Di li a poco passò la Vanità… ed anche ad ella l’Amicizia
chiese aiuto… Ma la Vanità rispose: “Non posso aiutarti
Amicizia, sei tutta bagnata e potresti rovinare la mia barca”…
La barca successiva era quella della Tristezza… e l’Amicizia
chiese aiuto anche ad essa… Ma ella rispose: “Sono così
triste che preferisco andare da sola…”.
E subito la Felicità passò così veloce che nemmeno si
accorse dell’Amicizia che chiedeva aiuto…
Ma ecco che improvvisamente una voce disse: “Vieni
Amicizia, ti prenderò io con me sulla mia barca”.
Era una persona anziana, e tale era la concitazione che
l’Amicizia dimenticò di chiederle chi fosse. Giunti su un
altra isola, l’Amicizia chiese dunque il suo nome…
e scoprì che era il Tempo. L’Amicizia chiese allora
perché’ la aveva aiutata… e il tempo rispose…
Solo il tempo e’ capace di comprendere
quanto importante e’ l’AMICIZIA….
Piccole storie:
La storia dell’uccellino

Il nonno raccontava a Nessuno sempre una storia. La storia, parlava di un uccellino, che non sapeva ancora volare. Durante l’inverno, in una notte fredda, ruzzola giù dal nido, finisce sul sentiero: si sente spacciato e comincia a gridare: “ piiio piiio piiio …“come un matto. Quando sta per morire di freddo, fortuna vuole che arrivi una mucca. Questa vedendolo, decide di scaldarlo: alza la coda e… splash… una bella torta di letame, fumante, copre l’uccellino. Questo ora è al caldo è tutto contento, ma tira fuori la testa e ricomincia a gridare: “piiio pi-piiio…piiio”…, più forte di prima. Ad un tratto lo sente un vecchio coyote, si avvicina e vedendolo in mezzo al letame, con la zampa lo tira fuori dalla cacca, l’uccellino è contento, ma il coyote dopo averlo pulito per bene, lo ingoia in un solo boccone…
“la storia ha una morale”, diceva il nonno di Nessuno, ma ognuno deve trovare la sua di morale.
Nel film una morale viene trovata: non tutti quelli che ti ricoprono di letame lo fanno per farti del male, come non tutti quelli che ti tirano fuori dalla merda lo fanno per farti del bene. L’importante è capire che quando sei nella merda fino al collo devi stare zitto, ma soprattutto non urlare.
Dal film “il mio nome è Nessuno” con Terence Hill e Henry Fonda 1972
piccole storie:
Il cerbiatto e il cervo
Un bellissimo cerbiatto dal manto scuro e con delle stupende macchioline bianche sul dorso viveva con la sua famiglia in una meravigliosa foresta.
Il cerbiatto ammirava il suo caro babbo. Desiderava diventare grande e forte proprio come lui aspettando con ansia che gli spuntassero le stesse lunghissime corna che tutti invidiavano al suo genitore. Nell’impazienza di quel momento egli seguiva costantemente il grosso cervo cercando di imitarlo in ogni cosa.
Un bel mattino di fine inverno, mentre il grande cervo brucava tranquillo in compagnia dell’inseparabile figliolo, un possente ruggito squarciò il silenzio della foresta. Era un leone! Il cerbiatto sconcertato osservò il suo babbo e, con enorme stupore scoprì che questi tremava come un fuscello al vento. Sì, il suo venerato papà aveva paura! Come era possibile? Ma prima ancora che egli potesse chiedergli spiegazioni il cervo gridò al figlio: “Corri!” e si lanciò in una velocissima fuga. Il cucciolo obbediente lo seguì con le lacrime agli occhi per la vergogna e la delusione. Quando finalmente si fermarono il cervo si avvicinò al figlio e scorgendo il suo pianto gli parlò con voce dolce: “Piccolo mio, questa paura che tu disprezzi ci ha salvato la vita. Quel leone non avrebbe avuto pietà di noi e ci avrebbe sicuramente sbranati se non fossimo fuggiti.
A volte bisogna ingoiare il proprio orgoglio e sapersi arrendere di fronte a chi é più forte di noi.
Questo significa diventare adulti e saggi.”
Quelle parole consolarono il cerbiatto. Adesso ammirava ancora di più quel suo babbo. Non aveva esitato a dimostrarsi un fifone rischiando di perdere la stima del figlio pur di salvargli la vita. Questo era il vero coraggio.
Morale : Nella vita serve più coraggio per rinunciare ad affrontare persone più forti e prepotenti piuttosto che per accettare sfide inutili e violente.
favola di Esopo
piccole storie:
Il cane e la lepre
Era un caldo pomeriggio assolato di inizio estate arricchito da un cielo limpido e azzurro senza l’ombra di una nuvola. Un grazioso leprottino se ne andava fischiettando allegramente tra le distese fiorite dei campi che circondavano la fattoria in cui viveva. Il tempo quel giorno era talmente bello che al piccolino venne una gran voglia di raggiungere il delizioso laghetto posto al limitare del bosco e, senza riflettere, oltrepassò con un agile salto il recinto di casa, dimenticando le raccomandazioni di mamma lepre che gli ripeteva sempre di non uscire mai dalla staccionata e di non parlare con gli sconosciuti.
Si avviò così verso la meta ambita, ma il suo cammino venne bruscamente interrotto da un pericoloso cane che, balzandogli davanti gli chiese: “Mio piccolo amico, cosa fai tutto solo per la strada? Non sai che esistono animali che potrebbero assalirti?” Il leprotto preoccupato rispose: “Volevo andare al laghetto”. Cogliendo al volo l’occasione l’astuto animale propose: “Posso accompagnarti se vuoi, così non correrai rischi inutili”. Il cucciolo accettò volentieri, ma fatti solo pochi passi il cane gli piombò addosso catturandolo con una piccola rete che teneva nascosta. Il suo nemico gli legò tutte quattro le zampine impedendogli di fuggire e lo sistemò all’ombra di una pianta, allontanandosi alla ricerca di qualche pezzo di legno per il fuoco.
Rimasto solo il leprottino cominciò a piangere. Aveva paura. Sapeva che presto sarebbe finito in padella per diventare un ottimo arrostino. Ma proprio quando tutto sembrava perduto ecco che un grande e vecchio orso che aveva assistito. alla scena, approfittando dell’assenza del cane, lo andò a liberare. “Oh, grazie! Mi avete salvato la vita!”. Strillò il cucciolo dalla gioia. “Smetti di gridare” borbottò il vecchio orso “e tornatene subito a casa. In men che non si dica il piccolino si precipitò alla fattoria dalla quale non sarebbe mai dovuto uscire. Quel pomeriggio egli aveva imparato una dura lezione.
Morale : Dietro ai sorrisi eccessivi e alle cortesie gratuite di persone sconosciute si nasconde spesso un secondo fine subdolo e pericoloso.
L’eredità dei cammelli.
Una volta vi era un ricco cammelliere. Alla sua scomparsa, con testamento, lasciò tutti i suoi beni ai tre figli, che avrebbero dovuto dividerli secondo un criterio di giustizia così determinato: al primogenito ½ del patrimonio; al secondogenito ¼ del patrimonio; al terzogenito 1/6 del patrimonio. I figli, trovato il testamento, erano impazienti di avere la loro parte. Ed ecco che l’asse ereditario si rivelò composto da 11 cammelli.
Al momento della divisione, secondo il volere del loro defunto padre, le cose non andarono come previsto. Il primogenito pretendeva la metà del patrimonio ovvero 11/2 =5 cammelli e ½ ! allora gli altri due fratelli dissero:” prendine 5, tu sei stato già favorito! ma il primogenito non volendo sentire ragioni insisteva nel volerne 6. Ne nacque una discussione, che finì in un violento litigio: con urla e spintoni fino a tirare fuori i coltelli. Gli 11 cammelli non erano divisibili né per ½ né per ¼ né per 1/6. Il diverbio, ormai fuori controllo fu notato da un vecchio cammelliere che per caso passava di lì. Incuriosito dalla discussione di quelli che conosceva come figli del defunto amico, si avvicinò per capire cosa stesse succedendo.
I tre raccontarono l’accaduto, allora il vecchio cammelliere disse: “ non preoccupatevi! in nome della mia amicizia con vostro padre, vi cedo il mio cammello” ed ecco quindi, che i cammelli da dividere, secondo le volontà testamentarie, diventarono 11+1 = 12.
Allora il primogenito prese la metà dei cammelli, ovvero 6 e se ne andò via; il secondogenito prese ¼ dei cammelli ovvero 3 e se ne andò via; il terzo prese 1/6 dei cammelli ovvero 2 e se ne andò via. 6+4+2 = 11: rimase un cammello. Il vecchio cammelliere riprese il suo cammello e se ne andò soddisfatto.
Qual è la morale della storia?
L’anziano padre voleva attuare un criterio di giustizia utilizzando la legge (Il testamento ). All’atto pratico però la legge da sola avrebbe fallito: la lite tra i fratelli non avrebbe avuto soluzione senza l’intervento del vecchio cammelliere.
Il vecchio cammelliere con il suo “dono” aveva risolto la situazione facilmente. La giustizia ha bisogno della generosità: un dono che ripaga sempre. In questo caso sia perché aveva salvato delle vite (almeno di un cammello) sia perché ora, si era guadagnato la riconoscenza di tre fratelli. La giustizia da sola non basta davanti all’avidità che rende ciechi. Come qualcuno ha scritto: “Caritas in veritate” la carità completa la giustizia sbloccandola davanti all’avidità.
Mai entrare a far parte di disputa, mai schierarsi, a volte l’avidità rende ciechi e si perde di vista la soluzione che agli occhi della persona giusta è lampante e può sfruttarla a suo favore.
Il dono non esclude la giustizia, la completa, la fa “girare”. Allo stesso modo crea sviluppo economico e sociale laddove le leggi da sole incontrano degli ostacoli. Il solo rispetto delle regole non è sufficiente, ciascuno deve essere predisposto all’altruismo. Se tutti siamo disposti a rinunciare a qualcosa probabilmente tutti saremmo più soddisfatti e alla fine tutti ci guadagneremo.